domenica 28 settembre 2008

La fame non attende

È cominciata in Messico lo scorso mese di luglio la seconda tappa della Campagna Nazionale «Sin maiz no hay pais, el hambre no espera», convocata e promossa da una vasta rete di almeno cinquecento organizzazioni di produttori e contadini e poi collettivi, associazioni, intellettuali e membri del mondo dello spettacolo. La Campagna è nata nel 2007 con l'obiettivo di salvare il mais e il fagiolo messicano dalla «fame» di soldi del mercato internazionale degli alimenti. Una risposta concreta alla caduta definitiva di ogni dazio doganale prevista dal Trattato di libero commercio (Nafta) con Stati uniti e Canada, entrato in vigore nel lontano 1994. Il mondo contadino, promotore principale dell'iniziativa, si pone anche l'obiettivo di fermare la politica di svendita della terra messicana e di rimettere al centro della politica del paese l'agricoltura, opponendosi all'oblio a cui il governo federale sembra averla destinata. Quest'anno però la campagna si rilancia in un contesto decisamente più complesso. La crisi alimentare globale ha colpito anche il Messico e ha aiutato gli attivisti contadini e rurali a porre al centro del dibattito il tema della produzione agricola, in particolare la situazione dei piccoli e medi produttori, stritolati dai grandi monopoli agricoli - soprattutto nordamericani. L'aumento dei prezzi degli alimenti in Messico si è intrecciato a un peculiare fenomeno di speculazione: negli ultimi 18 mesi, i prezzi medi degli alimenti sono aumentati del 70%. Ma la cosa peggiore è che tale situazione è stata negata da parte del governo federale con sistematica puntualità ogni volta che qualcuno osasse porre in dubbio i dati ufficiali sull'inflazione - indicata attorno del 7%. La realtà però è difficile da nascondere: la dipendenza alimentare dalle importazioni è aumentata vertiginosamente, obbligando migliaia di contadini e piccoli produttori a chiudere bottega ed emigrare verso le città o verso gli Stati uniti. In un paese con quasi sessanta milioni di persone che vivono ai limiti della povertà, la crisi ha portato venti milioni di messicani a soffrire di anemia e denutrizione. In questo contesto, il tema della sovranità alimentare assume un ruolo centrale per una soluzione del problema. Con l'80% della terra ancora in mano ai piccoli e medi produttori, il Messico, suggeriscono gli attivisti della Campagna, deve riconoscere loro il contributo, il potenziale e le virtù ecologiche delle piccole e medie unità produttive agricole, capaci di soddisfare le esigenze alimentari dei messicani. Forse le proposte più interessanti e innovatrici della Campagna «Sin maiz no hay pais, el hambre no espera» sono nella volontà di valorizzare le culture e le biodiversità che costruiscono il Messico. Si legge nel manifesto: «La ricchezza genetica del Messico, in particolare per quanto riguarda il mais, lo fa essere una grande riserva di varietà che si sono adattate al cambio climatico». E infatti, che il paese del mais, dove vivono «gli uomini e le donne di mais», importi oltre la metà del fabbisogno di questo cereale sembra assurdo. Sì all'autosufficienza alimentare dunque e no al transgenico che «non risolve il problema della fame», così come no alla produzione di agrocombustibili, «una beffa per chi ha fame». Infine ma non meno importante, in un paese come il Messico che è il primo consumatore di bibite gasate al mondo e che vanta, nonostante tutto, 35 milioni di obesi, la battaglia è anche per la qualità del cibo: «È necessario riconoscere che l'attuale modello ci sta portando verso un'alimentazione che ci ingrassa senza nutrirci».
Matteo Dean da "Il manifesto" del 23 Settembre 2008

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